Lorem Ipsum è un testo segnaposto utilizzato nel settore della tipografia e della stampa.
Dall’anno prossimo smetto di fumare.
Da lunedì mi metto a dieta.
Dopo le feste comincio ad andare in palestra…
Le conosci bene, vero?
E, altrettanto bene, conosci la frustrazione di iniziare motivatissimo e poi… mollare. Oppure di non iniziare affatto.
Per capire perché succede, dobbiamo entrare nel mondo delle abitudini.
In psicologia le abitudini vengono definite come risposte automatiche a segnali ricorrenti del contesto, apprese con la ripetizione. Non sono solo “cose che facciamo spesso”: sono scorciatoie del cervello per risparmiare energia.
Ricerche sulle abitudini mostrano che:
- le abitudini sono gestite in gran parte dai gangli della base, un’area del cervello che “compila” le sequenze ripetute in automatismi veloci ed efficienti;
- una volta formata, un’abitudine si attiva quasi sempre perché il contesto la richiama, non perché “ci pensiamo su”.
Questo spiega perché a volte ti ritrovi con il telefono in mano senza sapere nemmeno quando lo hai preso: non è una decisione, è un automatismo.
Anche se nel linguaggio comune diciamo: “devo togliere questa abitudine” o “devo aggiungerne una nuova”, la ricerca è un po’ più sfumata.
Quello che oggi sappiamo è che le tracce delle vecchie abitudini nel cervello non scompaiono del tutto: se torni spesso nello stesso contesto, possono riattivarsi.
- È possibile costruire nuove abitudini, ma serve ripetizione in contesti abbastanza stabili.
- Nella pratica, il modo più efficace per cambiare è sostituire una risposta automatica con un’altra, invece di lasciare “vuoto” quel momento.
Quindi, più che dire “non possiamo aggiungere o togliere abitudini”, è più corretto dire che più realistico sostituire un comportamento con un nuovo comportamento, agganciato agli stessi segnali.
Il “circolo delle abitudini”: segnale, routine, ricompensa
Molti modelli parlano del cosiddetto habit loop (circolo delle abitudini), composto da tre elementi:
1. Segnale (cue) – qualcosa che attiva il comportamento ( un orario, un luogo, una persona, una sensazione (noia, stress, solitudine…))
2. Routine – l’azione automatica che metti in atto (accendere una sigaretta, aprire Instagram, prendere uno snack, controllare le mail)
3. Ricompensa (gratificazione) – ciò che il cervello “cerca” (sollievo, piacere, distrazione, senso di controllo, appartenenza…)
Gli studi di Wolfram Schultz sui neuroni dopaminergici dei macachi hanno mostrato una cosa affascinante: all’inizio il picco di dopamina si attiva quando arriva la ricompensa, ma con l’apprendimento questo picco si sposta sul segnale che la predice (per esempio la luce che annuncia il premio).
Tradotto in vita quotidiana è che all’inizio ti “accende” la sigaretta stessa; e dopo il caffè del mattino, la pausa, il balcone, il rumore dell’accendino.
È per questo che basta un “blink” del cellulare perché la mano vada da sola verso lo schermo: il segnale ha “imparato” a promettere una piccola ricompensa (novità, conferme, like, messaggi di lavoro).
Esempio pratico: il telefono in riunione
Immagina questa sequenza:
- Segnale: il telefono vibra o si illumina.
- Routine: lo prendi e fai scroll.
- Ricompensa: piccola scarica di dopamina data da una notifica, un messaggio, un’email importante.
Con il tempo, il solo segnale (una vibrazione, uno schermo che si accende) è sufficiente a far partire il gesto, anche se la notifica non è interessante.
Una possibile strategia non è solo “devo avere più forza di volontà”, ma:
- cambiare il segnale (ad esempio: telefono in modalità aereo o in un’altra stanza durante la riunione),
- oppure cambiare la routine a parità di segnale (quando senti la vibrazione, fai un respiro profondo e non prendi il telefono, oppure lo guardi solo ogni 30 minuti in una pausa definita).
Funzionerà per tutti? No.
Se, ad esempio, dentro di te c’è il bisogno di dimostrare costantemente che “stai lavorando”, e leggere messaggi ti fa sentire importante e richiesto, la ricompensa è molto più profonda, legata alla tua identità. In quel caso non basta “spegnere la suoneria”: serve lavorare anche su che cosa rappresenta per te quella abitudine.
Anche sulle dipendenze e abitudini la ricerca è molto chiara:
- la nicotina abbandona il corpo relativamente in fretta: i livelli calano molto nelle prime 24 ore e la fase più intensa di astinenza fisica dura in media alcuni giorni, con sintomi che si attenuano nell’arco di 2–4 settimane;
- ma il desiderio di fumare può rimanere per mesi o anni, soprattutto in certe situazioni (caffè, pausa lavoro, dopo i pasti, auto, aperitivo, persone con cui fumavi, luoghi associati alle sigarette).
Questo perché, finita la parte di dipendenza fisica, resta fortissimo il pezzo di abitudine, cioè:
- Segnale: finisco di mangiare
- Routine: esco sul balcone e accendo una sigaretta
- Ricompensa: qualche minuto di pausa “solo per me”, rilassamento, respiro profondo, sensazione di chiusura del pasto.
Un mese dopo aver smesso di fumare, la nicotina non è più il problema principale: il problema sono le associazioni che il tuo cervello ha costruito. (vi ricordate che è facile riprendere andare in bicicletta se la sapevate usare, anche se per anni non l’avete fatto)
Ecco perché molti protocolli di cessazione prevedono non solo farmacoterapia, ma anche:
- identificazione dei trigger (segnali),
- pianificazione di routine alternative (es. tè caldo, passeggiata breve, chewing-gum, respirazione),
- supporto psicologico per lavorare sulla ricompensa (sentirsi calmo, al sicuro, in controllo).
Perché cambiare troppe cose insieme di solito non funziona
Se guardi ai tuoi propositi di inizio anno, spesso la lista è così:
- smettere di fumare
- mangiare meglio
- andare in palestra 3 volte a settimana
- leggere ogni sera
- non controllare il cellulare a letto
Dal punto di vista del cervello, è come chiedere a un computer di medio livello di fare rendering video, analisi dati pesantissima e 40 tab di browser tutti insieme.
La ricerca mostra che le abitudini si radicano quando:
- l’azione è ripetuta,
- in un contesto stabile,
- e porta una ricompensa chiara (anche piccola).
Cercare di modificare dieci abitudini contemporaneamente significa di cambiare tanti contesti, richiedere tantissima forza di volontà (che è limitata) e non dare il tempo al cervello di “compilare” i nuovi automatismi.
Per questo è molto più efficace:
1. Scegliere una o pochissime abitudini chiave.
2. Lavorare consapevolmente su segnale – routine – ricompensa.
3. Lasciare che la ripetizione faccia il suo lavoro.
Se le abitudini sono correlate (es. smettere di fumare e iniziare a correre) è un po’ più semplice, perché la nuova routine può occupare lo spazio della vecchia: stesso segnale, nuova risposta.
NON SOLO INDIVIDUALI: LE ABITUDINI DEI GRUPPI
Le abitudini non esistono solo nella testa del singolo. Anche i gruppi e le organizzazioni sviluppano veri e propri automatismi collettivi:
- riunioni che iniziano sempre in ritardo,
- email mandate sempre all’ultimo minuto,
- chat di lavoro usate a qualsiasi ora,
- pranzi saltati “perché qui si lavora così”.
Sono, di fatto, abitudini condivise, guidate da segnali (orari, persone, rituali impliciti) e da ricompense (non fare brutta figura, essere “il più disponibile”, non contraddire il capo, sentirsi indispensabili).
Se vuoi cambiare qualcosa in un team, diventa fondamentale:
- Identificare i segnali semplici su cui intervenire (es. spegnere le notifiche in riunione, definire orari “no mail”, rituali di chiusura della giornata).
- Rendere molto chiara la gratificazione del nuovo comportamento (più concentrazione, meno errori, meno stress, maggiore qualità del lavoro).
In pratica: da “domani smetto” a “oggi cambio il loop”
La prossima volta che ti senti dire:
“Da lunedì smetto di fumare / inizio la dieta / vado in palestra…” prova a porti queste domande, molto più “amiche del cervello”:
- Qual è il segnale? In quale momento, luogo, stato emotivo parte di solito il vecchio comportamento?
- Qual è la ricompensa vera? Non “la sigaretta”, non “la brioche”, ma che cosa ti dà: pausa, conforto, appartenenza, anestesia emotiva, distrazione?
- Che nuova routine posso inserire nello stesso punto del loop, che mi avvicini alla stessa ricompensa, ma in modo più sano?
Non è magia, è ingegneria delle abitudini: usare quello che la ricerca ci ha insegnato sul cervello, invece di affidarci solo ai buoni propositi di Capodanno.

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